La nostra società sembra essere dominata da dinamiche irrimediabilmente conflittuali. I social network ci restituiscono ogni giorno l’immagine di un mondo di relazioni incentrate sulla superficialità, l’approssimazione, sull’aggressione verbale, il bullismo e l’ira. La politica ha adottato da tempo la strategia del conflitto per affidare i propri messaggi a tweet e dichiarazioni a effetto, grazie a cui occultare i reali contenuti e impedire un vero confronto. Che fare dunque? Siamo su una strada senza ritorno? Esiste una possibilità di riprogrammare i codici comportamentali e le relazioni sia individuali che sociali? Una strada possibile è nella creazione di comunità di pratica incentrate sulla cura. Queste aree di micro resistenza agiscono nella prospettiva del dialogo, dell’inclusione, della valorizzazione, dell’ascolto, della testimonianza dell’unicità e del valore di ogni esperienza.
La cura è un concetto centrale in questa prospettiva e farne una pratica sociale vuol dire attivare le qualità che la caratterizzano: rispetto, gentilezza, gioia, empatia e compassione. Una comunità di pratica che agisce su queste basi diviene lo strumento per una efficace ed effettiva trasformazione globale. Costituisce la base per una nuova prospettiva etica. Per una concreta rivoluzione umanistica. Dove l’uomo torna ad essere al centro dell’attenzione e dell’agire. Uomo inteso come soggetto portatore di istanze e di diritti ma anche uomo come soggetto globale, come condizione imprescindibile da riconoscere a ogni essere vivente. L’idea di cura è dunque profondamente connessa a quella di giustizia sociale e di democrazia e diventa il tramite, lo strumento, la risorsa perché queste possano realizzarsi.
Cosa significa, dunque, nel concreto, immaginare un contesto che emerge da una pratica della cura? Come agire e da dove partire? Non si tratta di creare un percorso teorico ma iniziare dall’idea fondamentale della cura come azione capace di attivare le qualità umane fondamentali capaci di ricondurci ad un percorso di integrità, di guarigione e di libertà. La gentilezza, più di tutte le altre, è un atto trasformativo, perché cambia la prospettiva. Ci porta a spostare lo sguardo da l’interesse verso noi stessi alla gratuità dell’aprirsi al mondo. Significa tendere le mani e guardare alla fragilità, ai nostri limiti, i desideri, le aspettative e le paure con attenzione e onestà. Significa porsi dalla parte di un agire che vuole porre fine ai conflitti senza entrare a piedi uniti nella vita propria e degli altri per rispondere a un qualche imperativo morale astratto o a un’idea di come le cose dovrebbero andare. Significa, in sostanza, vedere sé stessi nell’esperienza degli altri proprio perché viene meno la centralità della nostra esperienza. Ci si svuota, si lasciano andare le opinioni, le divisioni, il voler aver ragione.
La cura dunque parte ma non si ferma alla sfera individuale. Al contrario, costituisce la base, il contenitore e la premessa per dar vita ad un contesto dove altri aspetti della relazione tra le persone possono essere immaginati, attivati e trasformati in risorse. La dimensione collettiva, allargata, è tanto evidente quanto necessaria per non ridurre la cura ad una semplice ricerca di equilibrio o di benessere e, insieme, rappresenta la cornice all’interno della quale sia l’individuo che la comunità, la società agiscono e praticano le qualità fondamentali. La comunità di pratica fondata sulla cura, in questa prospettiva, diventa una scommessa da attuare, verificare e confermare con l’esperienza diretta. Se, infatti, la cura contiene tutte le altre qualità, renderla una pratica, trasformarla in azione significa attivarle tutte. In una rete ideale dove ogni qualità rappresenta un punto di snodo e collegamento con tutte le “sorelle”, è ad esse collegata e ne consente l’emergere e l’attivazione. Se non esiste spazio per uno solo degli aspetti separato dagli altri, diventa evidente come questa profonda relazione leghi ogni aspetto dell’esistenza così come tutti gli esseri umani. E ci richiami, tutti, a una profonda responsabilità nell’agire.