Succede che, entrando per la prima volta in una classe seconda o terza, un/a bambino/a corra ad abbracciarci e non ci molli. Delicatamente allarghiamo il nostro mantello di luce su di lui/lei, così che rilasci la presa. Ultimamente, in una classe terza è capitato che, alla fine dell’ora, poco prima del pranzo, una bambina mi abbracciasse a lungo e una volta allargato il mantello di luce dicesse: “Tu sei il mio corpo”. Che si riferisse al corpo eterico o vitale, a quello astrale (emotivo) o a quello mentale, poco importa.
Ciò che mi sembra importante rilevare è il bisogno della bambina di essere avvolta in un abbraccio/mantello in cui sentirsi al sicuro. Un desiderio di protezione scaturito all’improvviso e sul quale potremmo provare ad interrogarci. Stiamo proteggendo l’infanzia? Stiamo tutelando i bambini? Li stiamo tutelando dalla nostra fretta, dalla nostra cronica mancanza di tempo, dato che lo impieghiamo, per buona parte, a far fronte alle molteplici richieste del mondo, finendo per esserne travolti senza riuscire a selezionare cosa è davvero importante?
Non ci piace immaginare nemici, ma siamo convinte che la fretta sia davvero il nemico numero uno di ogni percorso educativo. È il nemico numero uno perchè non concede a piccoli e grandi di entrare davvero nell’esperienza, di so-stare nel momento presente, di cogliere/accogliere quello che c’è con curiosità e apertura.
Nel presente spesso siamo già con un piede a progettare il futuro, magari perché il presente così com’è non ci soddisfa o perché abbiamo paura a vedere davvero cosa c’è. Ma il futuro da dove scaturisce se non da ciò che proviamo, sperimentiamo, viviamo nel qui ed ora?
Lo si vede e lo si vive durante i laboratori di “Viaggio nella Grammatica Fantastica” all’interno del progetto Diderot della Fondazione CRT.
Dando tempo ai bambini di entrare nelle attività, di replicarle, di ricercare soluzioni, di porre domande, di ascoltare fiabe e racconti e di metterli in scena, l’atmosfera della classe si colora. L’aria si alleggerisce, l’energia si espande e le facce dei bambini si tingono di colori accesi. La vita irrompe con allegria nello spazio scolastico, aprendo passaggi sul loro mondi interiori. Un’attività semplice, di solito utilizzata anche da maestri e maestre, è quella di presentare una fiaba, interrompendola poco prima del finale, così che i bambini scatenino la loro fantasia. In genere, mentre raccontiamo la fiaba la mettiamo anche in scena, ricorrendo alla tecnica del “theater in action” ovvero del teatro in azione. La fiaba in questione riguarda gli antenati dei tre piccoli porcellini che si trovano con una mamma per niente gentile che li invita a trovarsi un alloggio diverso dei suoi lunghi e ispidi peli. Come nella fiaba più conosciuta, i tre si trovano alle prese con un lupo che si crede intelligentissimo perché pensa di aver inventato il fuoco, il primo utensile (un oggetto acuminato) e la ruota ed ora è pronto a divorare i tre fratelli che lo osservano atterriti. A questo punto, però, succede qualcosa. In molti dei finali inventati dai bambini di una classe terza compare la mamma dei tre, colei che, ricordiamo, li aveva mandati malamente fuori casa. Leggiamo insieme il testo di Noah.
E a quel punto la loro mamma arrivò e disse al lupo: “Prima di toccare anche solo uno di loro dovrai passare su di me”. Il lupo rispose: “Va bene e iniziarono a lottare”. La mamma lottò e vinse la sfida e il lupo scappò via e non tornò mai più. Allora festeggiarono e mangiarono e poi si addormentarono tutti.
Vorrei evidenziare sia “La mamma lottò”, sia “si addormentarono tutti” (comprensibile dato che la paura era scomparsa).
Passiamo ora al testo di Eleonora.
E a quel punto arriva la loro mamma pelosa e grida fortissimo: “Lasciali stare, sono appena diventati grandi. Si stanno cercando adesso una casa, quindi veditela con me”. A quel punto (Eleonora riprende e usa in modo pertinente l’espressione presente in apertura del finale) dice: “Scappate, lui è pericoloso, non dovevo mandarvi da soli a cercarvi una casa sicura, forza tornate a casa”.
Vediamo adesso il finale di Kevin.
A quel punto arriva la mamma ad aiutarli e grida forte e picchia il lupo con la ciabatta e intanto i 3 porcellini scappano a casa della mamma e chiudono la porta e la mamma continua a picchiare il lupo e il lupo scappa.
Nei finali presentati l’atteggiamento di protezione della mamma nei confronti dei suoi piccoli è fortissimo, ma c’è di più, emerge anche l’immagine di un adulto che riconosce, come nel testo di Eleonora, i suoi errori: “Non dovevo mandarvi da soli a cercarvi una casa sicura…”
In questa classe il livello di consapevolezza di alcuni bambini è risultato particolarmente alto, come nel caso di Anna.
La mamma arrivò e disse al lupo: “Prima devi passare sul mio cadavere d’accordo?” E il lupo disse: “Okay, ma quando mi ricrescerà la zanna verrò alla tua porta e busserò così forte che le pareti cadranno e tu e i tuoi stupidi porcellini uscirete e io vi mangerò, capito bene?” La mamma pallida come un cencio dentro di sé pensava: “Ma quando gli ricrescerà la zanna? Forse, visto che siamo a maggio magari a luglio e…ci mangerà. Bambini torniamo a casa e aspettiamo l’arrivo del lupo, intanto mangiamo la lepre che ho cacciato quando eravate a farvi le case. A proposito di case: non vi farò più uscire, se non per andare a cacciare insieme…”
Anna, pur avendo solo otto anni, riesce ad accompagnare il lettore dentro i pensieri della mamma e a farci vivere le sue emozioni (pallida come un cencio dentro di sé pensava: –quando gli ricrescerà la zanna?), mostrando che il pericolo non sempre può essere allontanato una volta per tutte, ma può ripresentarsi. Nel frattempo, occorre proseguire con la propria vita e prepararsi… a proteggere e a custodire l’infanzia.